ENRICO CARUSO

I PRIMI PASSI
enrico carusoCaruso nasce a Napoli il 25 febbraio 1873 da una famiglia povera di originaria della provincia di Caserta (Piedimonte d’Adife che, oggi, ha cambiato nome in Piedimonte Matese). I genitori riescono appena a sbarcare il lunario: la madre, Anna Baldini, lavorava come donna delle pulizie e il padre, Marcellino, come operaio metalmeccanico e il ragazzo cresce nel rione di Sangiovannello agli Ottocalli. Enrico frequenta la scuola fino a dieci anni, poi segue le orme del padre che lo porta con sé a lavorare. Fortunatamente la madre decide di iscriverlo ad una scuola serale dove capisce di essere portato per il disegno e comincia a progettare alcune fontane per la fonderia in cui lavorava. Questo gli permette di coltivare la passione per l’arte che, comunque, trovava massima attraverso la voce. Voce che ben presto cattura le attenzioni di un’amica di famiglia (Rosa Barretti), la quale insiste per presentarlo al parroco e per inserirlo nel coro della chiesa. Successivamente si trasferisce e comincia a cantare nella Chiesa di Sant’Anna delle Paludi dove il parroco Giuseppe Bronzetti gli dà
l’opportunità di cimentarsi in opere come la Messa di Mercadante e I briganti nel giardino di Don Raffaele, dove interpreta il ruolo di un bidello. Intanto, incomincia anche ad affermarsi tra i posteggiatori, finché non viene notato da Amalia Gatto che decide di presentarlo ai suoi due primi maestri di canto, Schiaridi e De Lutio, che gli impartiscono le prime lezioni. Successivamente comincia a cantare anche in un'altra chiesa, quella di San Severino e Sossio, dove prende lezioni dal maestro Amitrano. Passa, poi, sotto la guida del maestro Sarnataro e comincia ad esibirsi al Caffè dei Mannesi dove si confronta con altre figure emergenti della canzone napoletana. In seguito viene scritturato dalla birreria Strasbugo di Piazza Municipio insieme ad alcuni artisti del Cafè Chantant; proprio grazie ad uno di questi intraprende la via del teatro. All’inizio si tratta di piccole rappresentazioni, serate musicali alle terrazze o agli stabilimenti balneari per allietare il borghesi e turisti. Ma, ben presto, questa dimensione comincia a stargli stretta.
LA CRESCITA
La svolta arriva casualmente, quando il baritono Eduardo Missiano lo sente cantare e, talmente entusiasmato dalle qualità di Caruso, decide di portarlo dal maestro Guglielmo Vergine che divenne il suo maestro. Caruso non aveva i soldi per pagarsi le lezioni, ma Vergine crede molto nelle qualità del ragazzo e decide di impartigli le lezioni gratuitamente, pretendendo, però, il 25% dei suoi guadagni per i primi 5 anni di carriera nel caso in cui venisse scritturato. All’inizio la sua voce era bella ma ancora “acerba”, priva di qualsiasi nozione tecnica. Ed è in questo frangente che comincia ad affiorare il suo carattere, una grande assiduità nello studio, precisione e tenacia che lo porteranno a diventare il più grande di tutti i
tempi. In quel periodo Enrico fu costretto ad affrontare la morte per tubercolosi della madre, mentre il padre si risposa con Maria Castaldi, che riesce comunque a fare breccia nel cuore di Caruso, il quale ritrova la voglia
per continuare la sua avventura nel mondo dello spettacolo. Nel 1894 le lezioni si interrompono perché Enrico viene chiamato nell’esercito a Rieti, ma, fortunatamente, dopo solo un mese e mezzo viene congedato grazie al maggiore Magliati che, appassionato di musica, decide di non rovinare il talento che aveva di fronte con le fatiche della vita militare e, sfruttando le leggi del tempo, lo fa sostituire dal fratello maggiore Giovanni, permettendogli di continuare gli studi. Caruso si sente pronto per l’esordio e il maestro Vergine riesce a farlo scritturare al Teatro Mercadante per la Mignon di Ambroise Thomas, ma, dopo le prove, non viene accettato. Successivamente si ritrova a dover fronteggiare un altro fiasco al San Carlo di Napoli, dove viene chiamato
per sostituire un tenore ammalato nel Faust di Gounod, ma l’emozione e l’inesperienza non gli permettono di terminare l’esibizione. Fortunatamente non deve aspettare molto per una seconda occasione.
L'INIZIO DELLA CARRIERA
Enrico non si demoralizza e riesce a ricavare dalle delusioni la forza e gli insegnamenti per proseguire gli studi e per intraprenderne di nuovi, esercitandosi per ore e ore ogni giorno. La sua carriera comincia ufficialmente nel 1895 al Teatro Nuovo di Napoli con una parte ne "L’amico Francesco" di Domenico Morelli, un Napoletano benestante che aveva le risorse economiche per portare in scena le proprie opere. Durante questa recita, Enrico viene notato dall’impresario Ferrara che decide di Portarlo a Caserta e scritturarlo per l’intera stagione teatrale. Da qui, Caruso inizia il suo cammino; canta il Faust, la Cavalleria Rusticana, il Rigoletto, la Traviata, la Gioconda con ottimi risultati. Così viene chiamato anche per delle esibizioni al Cairo e nel 1897 comincia a girare per i teatri d’Italia. Durante un’esibizione a Salerno, Caruso conosce il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi che gli offre la possibilità di partecipare alla stagione estiva a Livorno. Questa nuova opportunità lavorativa si rivela interessante soprattutto
per le conseguenza che ha nella vita sentimentale del tenore napoletano. Infatti, in questo periodo conosce il soprano Ada Giacchetti che, sebbene sia già sposata con un figlio, ha con lui una relazione di 11 anni, dalla quale nascono Rodolfo (1898) ed Enrico jr (1904). L’amore, però, finirà bruscamente quando la donna decide di scappare con l’autista cercando anche di estorcere del denaro a Caruso. La vicenda finisce davanti ad un giudice che condanna la Giacchetti a tre mesi di carcere e 100 lire di multa. Nel 1898 si registra l’esordio al Teatro Lirico di Milano al quale seguì, nel 1899, il primo importante ingaggio all’estero, a Pietroburgo in Russia e, poi, a Lisbona, Roma, Montecarlo, Londra e Buenos Aires.
LA DELUSIONE DI NAPOLI
Nel 1900 Caruso ritorna alla Scala nella Boheme diretta da Arturo Toscanini, ma è il 1901 che porta una drammatica svolta alla sua carriera. Finalmente viene scritturato per cantare Teatro San Carlo di Napoli, il 30 dicembre, dove interpreta “Elisir d’amore” e “Manon”. Durante l’esibizione, però, viene tradito dall’emozione e non riesce a cantare al meglio. Deluso dalle reazioni e dalle critiche, anche se il pubblico più "popolare" lo aveva comunque acclamato, Caruso decide che non avrebbe mai più cantato nella sua città. Il contratto che aveva stipulato prevedeva anche altre apparizioni dove le cose vanno in modo ben diverso, tanto da ottenere altri ingaggi come quelli al Covent Garden di Londra e al
Metropolitan di New York. Ma, nonostante la rivincita, la decisione di lasciare Napoli è ormai presa e, quando nel 1904, decide di comprare una casa in Italia, la scelta cade sulla provincia di Siena, più precisamente sul comune di Lastra a Signa dove compra, restaura e arricchisce con numerose opere d’arte Villa di Bellosguardo. Tutto questo, però, non vuol dire che Caruso decida di rinnegare le sue origini, anzi, torna a Napoli spesso, ma si rifiuta sempre di cantare. Anche quando viene chiamato per beneficenza decide di donare solamente del denaro mantenendo fede al suo giuramento. Napoli rimane comunque la città in cui il tenore decide di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita.
L'INIZIO DEL MITO
Il 1902 segna un’altra tappa fondamentale per la sua carriera e, forse, anche per la storia della musica. Caruso decide di incidere di incidere dei dischi, cimentandosi con una nuova tecnologia che ancora nessun artista aveva sperimentato, probabilmente spaventato dalla possibilità che la registrazione potesse modificare la voce. E così, l’11 aprile, a Milano, incide dieci dischi con arie e opere per la casa discografica inglese “Gramophone & Typewriter Company”. La sua popolarità contribuisce non poco allo sviluppo dell’industria discografica che grazie a lui riesce a convincere gli scettici, ma anche la facilità con la quale potevano essere distribuiti e venduti i dischi favorisce il crescere della popolarità di Caruso. Nel 1903 il tenore napoletano sbarca finalmente in America per l’esordio al Metropolitan di New York da dove parte la sua carriera internazionale. All’inizio il successo raggiunto non è così travolgente come lo stesso Caruso avrebbe voluto, soprattutto perché la lirica d’oltre oceano vive ancora nel ricordo dei miti del passato. Il suo obiettivo è quello di essere considerato il più grande, ma i tempi non sono ancora maturi. Prima di ritornare si esibisce a Parigi, Barcellona e Londra: un trionfo. Spinto da questo successo interpreta “Aida” al Metropolitan dove, finalmente, diventa definitivamente “il grande Caruso”. La sua forza non è solo quella di aver conquistato la critica e gli addetti ai lavori, ma di aver tradotto la canzone lirica in emozioni per il pubblico. Proprio questo rende la sua musica un fattore rilevante in ambito sociale, soprattutto per quegli emigranti che si identificano in lui. La sua fama cresce di giorno in giorno e già nel 1904 arriva un contratto importante con la casa discografica RCA Victor, primo italiano ad avere questo onore. Tra il 1905 e il 1920 Caruso è il protagonista incontrastato della scena lirica di New York. Partecipa a più di 600 rappresentazioni, cimentandosi con tutte le opere liriche più belle e più famose. Inoltre, organizza anche dei concerti per un pubblico più vasto e meno colto, in cui esegue un vasto repertorio di canzoni napoletane, tra le quali troviamo anche “Tiempo antico”, unico brano della sua discografia scritto da lui. In questi anni raggiunge una popolarità incredibile e, nel 1918, Caruso viene chiamato ad Hollywood per girare due film (“My Cousin” e “The splendid romance”) che, però, non furono apprezzati. La sua storia d’amore con Ada Giacchetti termina e nel 1909 incide un disco con 22 canzoni napoletane, tra le quali anche “Core ‘ngrato”, che si ispiravano o descrivevano i suoi tormenti affettivi. Nello stesso anno qualcosa sembra cominciare ad incrinarsi nel fisico di Caruso, che è costretto a sottoporsi ad un operazione per una laringite ipertrofica. Tutto questo, però, non ha conseguenze sulla sua turnée, durante la quale, riesce anche a trovare il tempo per concerti di beneficenza durante la guerra. Finalmente, nel 1918 Ada Giacchetti, pur rimanendo il grande amore della sua vita, viene rimpiazzata da Dorothy Benjamin, una ragazza di vent’anni più giovane che Caruso sposa il 28 agosto 1918 e con la quale avrà una figlia di nome Gloria.
LA MORTE PREMATURA
La sua carriera procede senza intoppi fino agli anni ’20, quando cominciano ad affiorare i primi sintomi del suo male. L’insonnia e i mal di gola si fanno sempre più pressanti, finché nel 1920 è costretto ad interrompere la rappresentazione di “Elisir d’amore” perché colpito da un’emorragia. Inevitabile il ricovero e l’intervento chirurgico che lo costringono ad un periodo di convalescenza. Caruso approfitta della situazione per ritornare a Napoli nel giugno del 1921, alloggiando al Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento. Il male sembra vinto, ma il 26 luglio ha una ricaduta a cui segue una febbre molto alta. I dottori capiscono che i medici americani non avevano capito quale fosse il vero male che affliggeva Enrico, gli consigliano un’altra operazione d’urgenza, ma le condizioni del tenore, al quale viene diagnosticato un ascesso sub-frenico tra diaframma e fegato, si aggravano ulteriormente rendendone impossibile l’intervento chirurgico. Caruso viene trasferito all’Hotel Vesuvio a Napoli, dove muore il 2 agosto 1921 alle 9.07, all’età di 48 anni.
IL CONTRIBUTO ALLA MUSICA NAPOLETANA
I funerali furono celebrati in una Piazza del Plebiscito stracolma, ma mentre in America il mito di Caruso (che era già forte quando lui era in vita) cresceva sempre di più, a Napoli il suo ricordo si affievoliva col tempo. Nel 1973 viene organizzato un concerto al San Carlo in suo onore, mentre nel 1976 viene costruito un suo busto in Piazza Ottocalli, nei pressi di quei vicoli che l’avevano visto crescere. Attenzioni minime e tardive, forse frutto di una lacerazione insanabile con la città dopo le critiche ai suoi esordi, mentre negli Stati Uniti era già nato “The Enrico Caruso Museum of America” grazie ad Aldo Mancusi. Nonostante Caruso si sia sempre rifiutato di cantare a Napoli a seguito della cocente delusione del 1901, il suo attaccamento alla città e alle sue origini rimane intatto e nei primi anni del 900, pur essendo un cantante di musica lirica, non dimentica mai di essere figlio della tradizione dei “posteggiatori” e contribuisce in maniera decisiva alla diffusione della canzone napoletana nel mondo, soprattutto grazie alla possibilità che gli dava l’incisione dei dischi. Fuori dai salotti e dai teatri, Caruso cantava sempre canzoni Napoletane tra cui “Torna a Surriento” e “Io te vurria vasà”. Tutti i più grandi artisti e compositori sono stimolati dalla sua presenza e componevano canzoni continuamente, persino D’Annunzio si cimentò scrivendo “’A vucchella”. Porta nel mondo tutte le canzoni napoletane nascenti che inserisce nel suo repertorio, dando spazio ad artisti emergenti come E. A. Mario, Tagliaferri e Capaldo. Strappava ingaggi molto elevati per cantare nei teatri e nei salotti, ma aveva sempre tempo per cantare gratis canzoni napoletane allietando gli emigranti. La prima canzone incisa su disco nel 1909 è “Mamma mia che vò sapè”, scritta da F. Russo e musicata da E. Nutile. Insieme a questa ci sono altre 21 canzoni tra le quali “Canta pe mme”, “Guardanno ‘a luna”, “Sultanto a te”, “Scordame”, “Uocchie Celeste”, “Pecché”, “Tu ca nun chiagne”, “Core ‘ngrato” e “Tiempo antico” che, come detto in precedenza, è l’unica scritta totalmente da lui.

Era lu tiempo antico
Pe' me lu paraviso
ca sempe benedico
pecché cu nu surriso
li braccia m'arapive
e 'mpietto me strignive.
Chino 'e passione
currevo 'mbraccio a te.
Ma tu ca sì 'nfamona
tu te cuffiave 'e me.

Tu te ne sì gghiuta
cu n'auto 'nfantasia
e a chesta vita mia

'na fossa aje araputo!

Di essa è disponibile anche un'altra versione che è riportata di seguito:

Era lu tiempo antico

comm'era 'o Paraviso,

ca sempe benedico,

li bracce m'aparive 'mpietto m'astrignive.

Chine de passione
currevo 'mbraccio a tte.

Ma tu ca si 'nfamona,

cu tutt'e dduje uocchie e a vedè!

Ma chillu tiempo antico

te si scurdate, ojnè?

Penzanno 'o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

Penzanno sempe o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

OMAGGI E DEDICHE
Alla figura di Caruso sono dedicate molte canzoni. La più famosa è sicuramente quella composta da Lucio Dalla nel 1986. In quell’anno, il cantante bolognese si trovava a Sorrento, ma, a causa di un guasto alla barca è stato costretto a fermarsi e ad alloggiare al Grand Hotel Excelsior Vittoria, nel quale è disponibile solo la suite Caruso. Inspirato dal golfo di Sorrento e dal luogo in cui si trovava, totalmente dedicato al tenore, compone "Caruso" che, oltre ad essere una delle sue più belle canzoni, è sicuramente una pagina immortale della musica italiana in patria e nel mondo.

Oltre alle canzoni, al tenore napoletano sono dedicati dei musei:

Museocaruso
Villa Caruso – Bellosguardo
The Enrico Caruso Museum of America
Ristorante Museo Caruso

3 Replies to “Enrico Caruso”

  1. Silvano Marchese

    Dopo aver visto il film Il grande Caruso del 1951 ho incominciato veramente ad amare uno dei nostri più illustri nomi dell’opera italiana. Conoscevo molte canzoni napoletane da lui registrate e da me conservate gelosamente quali glorie di una musicalità perenne, di quella musica NAPOLETANA che non è una musica popolare o folkloristica ma un genere proprio a se stante come può essere la musica sinfonica o operistica. Nei miei concerti ho sempre inserito il repertorio napoletano quale clou di una serata a base di buona musica.

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