VENDITORE di ACQUA-ZUFFREGNA

I venditori di acqua-zuffregna, in origine donne, cominciarono la loro attività soprattutto nel quartiere di Santa Lucia, dove si trovava una sorgente da cui sgorgava dell’ottima “acqua sulfurea”. Questa veniva versata nelle cosiddette mummarelle, anfore di terracotta nelle quali l’acqua riusciva a conservarsi fresca, che venivano poi trasportate sulla testa o su di un carretto, spesso trainato dal marito o dal figlio. Così, durante il giorno, era possibile incontrare queste venditrici che camminavano per le vie della città vendendo acqua fresca a chiunque ne avesse desiderio. Alla sera invece, si dedicavano al rifornimento dei chioschi degli acquafrescai e, in alcuni casi, portavano l’acqua anche ad alcuni alberghi e alle case dei più ricchi.
Nell’immaginario popolare, le donne di Santa Lucia sono state sempre descritte come belle e prosperose, quindi anche le venditrici di acqua-zuffregna vengono spesso ricordate come avvenenti e affascinanti. In seguito, però, visto il grande successo riscosso dall’acqua napoletana, il lavoro si trasformò definitivamente, perdendo un po’ di quella poesia a cui era stato sempre legato, soprattutto per la presenza femminile di cui abbiamo parlato. La voce giunse anche in periferia e nuovi venditori arrivavano anche da Caserta e dalle città limitrofe, mentre da ambulante, il lavoro cominciò a stabilizzarsi all’interno di un chiosco dove era più facile dotarsi di accessori come ghiaccio, sciroppi e spremute per commercializzare ancora di più il prodotto. Il mestiere scomparve del tutto quando, a seguito dell’epidemia di colera che colpì la città nei primi anni Settanta del XX secolo, le fonti cittadine furono chiuse per motivi sanitari.


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