LAVANNARA

‘A lavannara era la lavandaia.
La lavannara, figura tipica della tradizione napoletana, era una donna che svolgeva il duro lavoro di lavare i panni a mano, garantendo la pulizia e l’igiene delle famiglie napoletane. Questo mestiere, strettamente legato alla vita quotidiana della città, ha radici profonde nella storia di Napoli e rappresenta un tassello importante della sua cultura e identità.
Era solita girare per le case alla ricerca di panni sporchi che lavava utilizzando sapone e cenere, ma ognuna di esse custodiva gelosamente il proprio metodo, considerato naturalmente il migliore, per sbiancare e pulire. Inizialmente, dopo aver prelevato la biancheria, le lavandaie si recavano presso qualche torrente o fontana, ma con il passare del tempo, la tendenza diventò quella di fare il bucato a casa del cliente stesso. Il lavoro si sviluppava su due giorni: nel primo i panni venivano lavati e lasciati a mollo in catini con acqua calda, soda e cenere, mentre nel secondo si procedeva alla cosiddetta culata, cioè si provvedeva a stendere e lasciar asciugare i panni.
Il loro lavoro si svolgeva principalmente in prossimità di fiumi, fontane pubbliche o persino in case private, dove c’era accesso all’acqua. A volte, la lavannara si accompagnava ad altre donne del quartiere, lavorando in gruppo e condividendo i compiti e il lavoro faticoso.
Gli strumenti utilizzati erano solitamente tre:
– La
“mazzarella”: una mazza di legno pesante usata per battere i panni, rimuovendo lo sporco ostinato.
– La “spugna”: una spugna di mare o di materiali vegetali usata per strofinare i panni.
– Il “sapone”: un sapone naturale, spesso prodotto in casa, usato per lavare i panni.
In epoca moderna l’avvento delle lavatrici ha cambiato radicalmente le abitudini delle famiglie e il modo in cui i panni vengono lavati, condannando questo mestiere ad una lenta sparizione.


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