SIVORI, DRIBBLING E TANGO…
L'avvento della televisione è ormai generale, ed in tutte le case arrivano i dribbling della nuova stella del Napoli. Arriva da San Nicolas di Buenos Aires, Enrique Omar Sivori, numero 10. C'è anche un bomber brasiliano, Josè Altafini, da Piracicaba. Sivori, che ha patito nella fredda Torino lo stile-Juventus, diventa presto il "vulcano" del Napoli. Numeri di classe finissima, scatti d'ira, avversari derisi, beffati: Sivori, per i Napoletani, è subito una sorta di vendicatore, di addetto al riscatto, di quello che, per dirla alla napoletana, toglie gli schiaffi dalla faccia. Quando mette a sedere i difensori di Juventus, Inter e Milan è un trionfo. Il Napoli nella sua ormai lunga storia, ha spesso stabilito il record di abbonamenti: gli ottocento milioni di quell'anno, fatte le proporzioni con oggi, rappresentano uno stra-record. Il Napoli regala un gran campionato e finisce terzo con 45 punti alle spalle di Inter (50) e Bologna (46). Altafini mette a segno 14 gol, 12 sono firmati da Canè, 7 da Sivori. Canè, il negretto acquistato da un catalogo a mo' di una maglia o di una moglie per corrispondenza, è un idolo anch'egli: di qui lo
striscione "Didì, Vavà e Pelè site 'a guallera e' Canè". Il Napoli incassa, in quell'anno, quasi un miliardo e mezzo, ma in seno alla compagine dirigenziale c'è fermento. Lauro, padrone di mezza Napoli, è infastidito dalla popolarità di Fiore, mentre in società la minoranza diventa… maggioranza. E così, ecco che il 17 Dicembre 1966, Roberto Fiore non se la sente di continuare e gira le spalle al Napoli. Il primogenito del comandante Lauro, Gioacchino, deputato per la Destra Nazionale, diventa nuovo presidente. Ma Fiore è un personaggio carismatico e, anche se nella vita i soldi sono qualcosa, ecco che i calciatori, quando sanno del suo addio, vanno a trovarlo a casa, in Via Scarlatti al quartiere del Vomero, per una sorta di festoso saluto, in realtà velato da sincera tristezza. I calciatori lo festeggiano con una medaglia: semplice e significativa la dedica "Forza Presidente". Fiore giustamente si vantava di aver lasciato una squadra rispettata ovunque, non solo simboleggiata da Sivori ed Altafini, ma da 70'000 tifosi che un giorno non lontano avrebbero potuto vedere, da quelle basi, nascere la squadra per lo scudetto.
Il "piccolo" Lauro è un bravissimo uomo, un signore. Non ha modo di vincere nulla, come pure avrebbe voluto e, forse, potuto. Muore giovane, vinto da un male incurabile, lasciando un sincero e profondo rimpianto. La mazzata per la famiglia Lauro è tremenda e il Napoli diventa proprietà di Antonio Corcione, per vent'anni emigrato in Venezuela, la classica storia dell'uomo che fa fortuna da sè. Corcione richiama Fiore, nominandolo amministratore delegato. Sivori viene confermato, Pesaola no. Va a Firenze dove vince lo scudetto. A Napoli arriva Beppe Chiappella. Fiore non indovina acquisti eccezionali, Sivori viene rispedito in Argentina e, nel frattempo, la maledizione del presidente colpisce anche Corcione che, in un baleno, letteralmente distrutto da un male incurabile, muore lasciando al successore il ruolo di diciannovesimo presidente della Società Sportiva Calcio Napoli.